Prometeo
per chi,
e poi, perché...
Se volo più in alto,
e nasce una canzone,
se quando ti rivedo
muore una parola...
è per me
te,
o che...?
E sempre lì parlò,
e andavo biascicando
come un saggio, ch'è onniscente...
solo che la differenza
era data dal proseguo:
"non capisco proprio niente".
Cosa guardi amico mio?
siamo tanti prometei
quando affrontano paure
con i nodi senza capi.
Finché dici "basta ormai!
non ne voglio sogni morti!
riprendeteveli tutti,
niente belli, niente brutti..."
E invece non bastava,
quelli belli li volevo,
e allora l'ho creato.
Io creatore,
di una bocca che sorride
insieme agli occhi,
già cantici alla vita.
E loro, "dicci, che succede?
nel tuo cuore hai trovato...
...una scintilla come il sole?
Sai che ti vogliamo bene:
la mettiamo pure in testa,
solo al cuore... non conviene".
Tu mi guardi, amico mio,
mi bastava anche guardarla
senza mai tendere mano,
che non fosse a far da ombrello.
E solo chi sapeva il vero,
che capiva dove andavo,
m'ha punito a fuoco lento,
e poi col ferro m'ha accecato.
Mentre là dove m'appese
giunse infine al gelo il vento,
e solo il corpo le lasciavo...
Un cancelletto verde e parolette brevi, sorrisi un po' assassini, e il gioco è preparato, la trappola è partita : timidezza da leone, io sfacciato, come un pollo, indifesa e sei una tigre io mi guardo, poi m'accorgo,... sguardo acuto come un pesce, ancora dormo, ed è ormai giorno.
Vedo solo che sei sempre più bella; sei come un fiore che mentre cresce, ripete quell'attimo eterno e s'apre, in una sinfonia di profumo e colore, che non sembra possa morire, neanche d'inverno... sogno d'amore, per me sei solo, sempre più bella.
Sei fiore dolce piccolo eterno, occhi infiniti, mare d'inverno, luce nel viso l'amore, un sorriso, e ancora sei una, piccola luna.
Fiore d'aprile sei veramente, oro dei monti, nato da niente, cerco una mano, col cuore, lontano, amore e fortuna, piccola luna.
Non basta essere buoni, deve essere concesso. E se anche tu hai pensato di migliorare un po' te stesso,... non basta essere bravo, deve essere permesso... e solo dopo fai carriera e su per giù, probabilmente, permetterai a chi sarà sotto d'esser tanto, oppure niente più di quello che è previsto da un trattato dove è nata l'arroganza della gente, che non serve essere buoni se non vuoi sentirti fesso.
Cieli chiari da guardare occhi come laghi che sui monti sono gioie da nascondere, bei diamanti incastonati fra gli alberi verdi protesi come ciglia folte per parlare, e poi, campi di grano che lottano col vento, capelli, che asciugano sorgenti dei monti sono lacrime che piangono che ridono che vivono che vanno a sfociare dentro un mare di rose rosse labbra che parlano che dicono... di te.
Ed è a quel punto che ti senti vivo, e più vivi e più ti uccide, come la vita, così l'amore illude a ciò che non è; e invece appare al posto suo, di chi crede tu sia realtà del suo futuro fatto di sogni, la morte dell'amore, che solo morendo può essere eterno.
Lascia un po' soli questi due affanni, lasciali soli a contare i malanni; io non sapevo che dietro le quinte c'era un canuto burattinaio. Viva le donne e le pose più spinte. Viva le donne adesso che raglio... Io non vedevo che c'era lo sputo sopra i fiori, sotto lo stabbio; io non sentivo che c'erano grida e fame e sete pensavo dipinte come paure a chi gioca con gli anni. Lui fa l'arguto, l'altro fa Mida, e insieme assaggiano i morti di fame e ancora bevono i disidratati, godono ebbrezze iniettandosi forte fessi e drogati, fino alla morte.
ORIANA Gentucola arcuata sotto stemmi disossati dall'ebbrezza di poteri, vari, e sempre più scontati. E' chinato chi si esalta non avendo un proprio io, ammazzando quei pareri che vietavano la svolta.
Gentucola vigliacca che ogni tanto sforni un dio e una logica prepari per sfasciarmi quello mio, paradosso neanche umano che, scostante, non può stare dentro targhe o altri fari; si, lo so che sembra strano,
gentucola che nuota, buona solo ad affogare dietro vani cantastorie, preparando sette bare per la caccia a brutte streghe, voi, e le vostre tronfie borie che vi stanno tanto care, gentucole seganti, buone solo a scoglionare.
E in ogni caso preferisco pensarlo, per tanti motivi, riuniti nel mazzo mischiato dal tempo, volati per aria ad ogni occasione, raccolti dal caso che mescola carte dure e sapienti come il destino. E torna, davvero, in mezzo al languore rosso, mozzato, stesso pensiero intorno alle cose che girano forte, intorno, e da sempre, ancora straniero.
Era cantata, la sola allegria, finta, sdraiata, protetta da risa, complici amare dall'alito forte. E una bottiglia a guardargli le curve calde, inebrianti, fedeli e disposte sopra le cose, sopra i pensieri, danno tepore e fanno girare i quadri, la stanza tutto il normale di cose sognate da quando, da ieri da sempre nel tempo ormai spiritato e ubriaco di risa fatate e sincere.
Ma c'è sempre una domanda che ha già pronta l'etichetta... E tutto appare intorbidito mentre cerco le parole per spiegare che i doppioni, quelli neri e all'altra parte, sono tali oggi e ieri e ancora e sempre più distorti, vecchie copie di un passato che già in tutto è stato autore e che rimane, e sempre, è stato.
Quando una luna mi riporta indietro sopra i capelli mossi dal vento del mare d'inverno d'incanto mi sento volare, e poi ancora stupore, nel fango del tempo che manda in letargo amori lontani perduti nei sogni che hanno creato, fantasmi di sabbia mossa dal vento del mare d'inverno d'incanto diventa illusione e poesia.
TIBET Ultime grida volate a dispetto di un'informazione sempre settaria, metrata dal soldo va a caccia di streghe o cose scontate, facili a dirsi. O forse è il buon senso a non dare sentenze, a insabbiare gli orrori, troppo giganti e tanto lontani dal nostro pensiero, di civiltà balorde e arroganti. Ma al tetto del mondo sono arrivati... e come locuste divorano a sbafo campi e colture già millenarie quando l'insetto dicevasi larva, rozza e ignorante, buona a affogare, infilzata da un amo di cose balorde, sempre le stesse , sempre nel mare di gente fottuta dal falso lampante, chiude i suoi occhi credendo all'udito e parla e ripete gli slogan bugiardi come non fossero scuse carogne come non fosse chiaro e banale, guerra, violenza, e larve a sbafare.
La rassegnazione, che non fa più soffrire... cavallo sfrenato, sopra i morti di mille battaglie, vittime inutili, e ideali squarciati, passano sotto il sollievo di rese dolci e gentili nei sensi sfiancati. E torna un respiro scordato e il silenzio che svuota la testa fa male e dà pace, come una spina tolta alla fine di un tempo infinito, ora calmo e sereno nel regno potente di un cuore indurito: "cinico mago, incanta per sempre immagini mosse solo da un treno".
Sole che scendi, cuore che muori, sotto le sponde che nascono sempre a nascondere facce di strani dolori. Cuore che nasci sotto quel sole vivido o tenue secondo le ore che cantano insieme parabole vecchie o spente parole, fatti illusioni e vivi gli amori senza ascoltare santa sapienza, ma solo il tuo sguardo sopra i colori.
C'è nella mente... la lontananza che sibila i ricordi d'infanzia delusa, uomo maturo, che cresci alte mura sui campi da gioco. C'è dentro il vento... un'impotenza abbattuta della vita legale dei sogni, uomo reale, che pensi al futuro di tasche malate. C'era sui rami... una voglia di alzarsi e tendere mani come bambini, uomo già morto, illuso creatore di bare invadenti. Tu hai nella mente la superbia distorta e hai nelle mani l'orrore che porta la vita non tua, veduta e già colta.
Nulla è più dolce del proprio sentire a tratti, dal nulla, l'io che reclama la propria esistenza, e intorno dissolve maschere avulse e miseri miti. 'O savia demenza...' tutto scompare là dove imperava un'io che riscuote dai servi aggiogati tutta una vita rincorsa a sbranare, e ora ricordo: nel mentre volava, ed era ferita.
Incantata da una sfera di cristallo l'altalena dei tuoi occhi spalancati, liquefando la mia rabbia e la paura, vola via.
Nell'ammissione del limite umano... nasce il dubbio e trovo Dio. D'altro canto non mi portano i miei sforzi mai di fuori, e nel mio corpo non c'è mano, resto solo, solo io e le mie sere quando esortano a pensare... pazzie dentro i clamori: gente, mai ribelle di sé stessa, si rinnova muore nasce dentro il ruolo della gente, se mai vita le è concessa.
CONVIVIO Si rammentano le storiescalzandone i segreti, che d’altronde erano noti, e godendo a farne scempio noi sguazziamo in vilipendio ai vecchi miti nostri e a chi ci crede ancora!
Piazza cinese Tieni a mente, Primavera, Praga e Cina tanto uguali. E sbocciarono di rosso pochi sogni, ma ideali. Tieni a mente: sulle spine s’è posata un’altra storia, sempre uguale al come e quando delle stragi. E la memoria tiene a mente, prima ancora di parlare, e inorridire: solo i giorni dell’amore sanno essere e morire.
Ora, non c'è più spazio per pensieri sulla vita per la vita. Superato ho il momento ora, cavalco disperato questo vento che accarezza una speranza non finita ieri, quei suoni dai monti, guardando una salita, ora io sento.
Una carezza sul viso per riprendere i miei ori sotterrati in una guerra per fuggire più leggero... è il risorgere del cuore. E il nemico nella mente ricomincerà il dolore fino a quando nel cammino peserà di nuovo amore dentro il petto come sempre e sarà di nuovo un lusso respirare, assaporare l'illusione ormai avvilita. Vuoi l'affanno, vuoi il pudore di sentirsi qualche cosa, con la vanga già adoprata copro il sogno ed il soffrire per le rose, fiori nati a trapassare, con le spine ed il profumo, petti fragili al languore.
FIGLI Perdonami al tuo nascere per questo sporco, brutto mondo, e soprattutto non volermene, vedendo il male andare e da padrone digerire i tuoi pensieri più banali, sulla vita, o naturali, e non credere a un mio gioco giacché il rischio non consente di chiamare qualcun altro, quand'è poca la grandezza dell'azione meditata. Sulla pelle della gente le dottrine più svariate fanno conti da assassini; io lo so e per questo fremo al tuo nascere da uomo o un angelo, lo stesso, voglio, cerco il tuo perdono.
Occhi infiniti nel mare d'inverno nuotano svelti nel loro cercare, mentre l'estate risolve i languori nel sole accecante che annulla l'inferno del cuore e di troppe, improbabili gare da cui, chi si estrania chiamandosi fuori, ritorna sul molo dei mitici giorni, quando un cervello poteva anche amare aspettando dal vento piaceri e dolori, imitando gli storni nel loro migrare, verso se stessi, verso gli albori che tornano sempre, come le onde, che portano il mare.
ALBA DI MARCO AURELIO E se, veramente, fosforo e miele pare così io sono, forse, imperatore. Finché l'alzato sole non rischiari l'uomo vero, e s'inarchino coscienze per lanciarlo verso il cielo dove il tuono, nemico delle ore, gli insegni le parole per forgiarlo ancora fiero, laddove sofferenze arrivarono a far velo... non sarò ciò che io sono; e ora questo, non è mare.
F & B S’invola nella notte l’eroismo sconosciuto dalla gente che non sa mai, amare. E il ricordo sconosciuto appare nel fragore delle bombe che non danno mai, amore. Gran lavoro artigianale la barbarie chiesta loro onorevole animale: sempre dietro il tuo morire dalla nascita che porti come zecca per cui vivi nel frattempo in cui s’invola nella notte del dolore l’arma immane della vita.
Invece il dolore può fare dentro la cinta ‘si cara tanto sgomento e mari incantare; quando il vento dei lari entra fino e poi spara, in fondo l’anima appare.
Volute di nuvole rivolte in cuore mio alle favole cantate dai ricordi più nascosti, nel tempo o nella mente, carezzano le soste così rare nella vita. E un respiro più profondo mi risveglia e m’addolora col richiamo delle madri dei fratelli già perduti con le risa antiche e voci, voci amate: ritornate dentro il bosco fino a che il momento vero ci riporti in luce e sia quel miraggio che addolora e mai più, malinconia.
C’è una spia in questo ufficio, che è gemella a tutte le altre, rotea gli occhi ad ogni istante; come un rettile sta quindi per notare gli usi strani dei colleghi più normali per cui prova odio e invidia. Sa, quest’essere inferiore perché sia da noi diverso e per questo mal sopporta e sbava e striscia contro il muro. E quando crepa non capisce perché proprio a lui succede, se il padrone suo (che ingrato) lo finisce sotto un piede.
Retorica atavica voluta dai padroni, mascherata da pensiero, vilipendio degli onesti; t’appropri sogni altrui per vestire il corpo falso nudo e sporco di una piovra ben più antica che avviluppa appena nati. Può l’ipocrita aggiogare pel tentacolo che ha in bocca intanto che il vampiro aculeo, penetrando nelle menti depredi linfa grigia, formando i suoi soldati dallo sguardo fisso e ottuso morti in vita per la vita mercenaria di sé stessa.
Vederti boccheggiare dietro briciole lasciate sui selciati freddi e duri solo per te così importanti, sbatte in faccia l’impotenza del guardare e mai dire una parola e risollevare il solo amico, solo e stanco nelle mani che si aggrappano al vecchio pensiero, ma vero negli occhi stanchi, quando resuscitano grottesche illusioni che fanno briciole di me che posso solo guardare il mio silenzio a tanto amore.
FRASASSI Da quanto sostieni il mondo, ingenua colonna, da tenebre illusa al mondo che ama, ritiene, sostiene... Ma quel che vale rende! all'amante scherno; si che 'l dono più onesto ha fattezze di lume che reca la morte. Or non so io se fenice, avrai, quel giorno, dentro il tuo cuore; perciò nulla dico a chi solo ama. Ricevi orgoglio, e rispetto dal muto mio sguardo, titanica brama.
CESARE SE TU, BRUTO, POTESSI COLPIRE ANCHE I TRASCORSI CAMPI D'INVERNO DI PIU' SARESTI LODATO DAI TUOI LENONI AULICI,
CHE MEMORIA NON SI INCHINA MAI, COME SANNO, E SA, CHI T'HA VELATO D'ORGOGLIO IL SENNO DEI LARI: DA QUALI SUONI CORROTTO?
L'ORA S'ARROSSA SU QUESTO TELO, TENERO SCUDO AL CORPO ORMAI PRONO, CESARE RESTA AGGRAPPATO SOLO AL TEPORE DEL MARMO.
LA MORTE, PIU' FREDDA, GIA' T'ADDORMENTA, E SOGNI LE NOTTI, I FUOCHI DEL CAMPO, GALLIE LONTANE CON FIGLI SOLDATI E NEMICO SINCERO.
BRUTO, T'AVESSI TENUTO VICINO, LE MEMBRA SOLE T'AVREBBERO DETTO L'ESSENZA DEL VERO FRA EROI CADUTI IN DIFESA DI TE.
QUANDO LA VILTA' SPORCA IL DESTINO GIAMMAI S'AZZARDI LO STOLTO A SPERARE: PIU' DIRITTO AVRA' L'AMICO A VEDER SCRITTA VENDETTA.
OR CHE LA FOLLA CESARE CHIAMA POTRETE DIRE A VOSTRA DISCOLPA CHE AVETE UCCISO IL TIRANNO... SE C'E' QUALCUNO CHE ASCOLTA
TE, BRUTO, CHE RIMANI GIA' SOLO A CANTARE I TEOREMI IMPARATI. MA I VISI CHIAMAN LA SPEME, TOLTAGLI SENZA PIETA'.
San Francesco Percorrendo il ritorno non più prigioniero il cielo riapparso non era lo stesso; per troppi giorni ammalò il mio pensiero l'aria dei boschi, l'odio al successo instillò i primi umori, e foschi di notte quei morti tornando perdono chiedevano, il mio, ed io che scantono, e nascondo il mio viso alla folle richiesta lottando coi rami che negano un varco, frustandomi gli occhi, il corpo, la testa... squarciano il velo e già tirano d'arco le nuvole in cielo dentro la mente, finché l'alba e poi il giorno tornarono piano... e il prato era intorno.
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Angelo del sole, della luce e del colore, volevo ricordarti ch’ era forse stato amore, con la notte vicino, senza sole al mattino...
Fulmini di storie con le nuvole nel cuore, danno le risposte e ritornano paure, e sale nella gola, ma tu, se resti sola...
Anche tu dentro il mio cuore avresti voluto, avresti creduto, che niente al mondo poi, sarebbe entrato, come un ladro, come un soldato; e una sinfonia di misti colori avresti ballato avresti cantato solo per me, usignolo del cielo, piuma del cielo, e ancora un pensiero...
Anche tu dentro le stelle avresti guardato avresti cercato occhi lontani, di un'altra storia, giorni antichi altra memoria, e sorrisi spenti da chi ora nasce avrei rubato, forse incantati come fiori accesi nella notte nel cuore perle d'amore risorte.
Per due mani di velluto che mi sanno accarezzare, per due occhi come è l'acqua dove voglio naufragare, per tutto ciò che sei, per tutto ciò che hai, per tutto quello che so io, ...e che non ti ho detto mai.
Anima vaga, cammini senza fretta, senza più freddo, ma lei, per sempre e sempre stretta. Rigiochi ancora, richiami la difesa urla più forte, che sai, la vita tu l'hai spesa e sei lontano che scherzo hai combinato, senza ritorno, per me, che ancora sto invischiato.
E’ UNA FIAMMA CHE ENTRA DENTRO PIEGHE OSCURE O NON LO E', PERO' ACCOMPAGNA GUARDA AVANTI, TORNA INDIETRO, A RIPRENDERE PAURE. VEDE I SUONI SENTE GLI OCCHI QUANDO SANNO E STANNO MUTI, MANDA FIUMI DI PAROLE SENZA DIGHE, A FRENARE UN PO' L 'AFFANNO DI CHI E' FILOSOFIA, E ANNEGA, DENTRO I NAUFRAGI DEI PERCHE'. POI RIPOSA PIGRAMENTE, NEL DESTINO DEL CREATO E SORRIDE, COME SOMIGLIASSE A UN DIO, RISBRIGLIA ANCORA LE SUE ALI, STUZZICANDO A RIPROVARE UN'ALTRA VOLTA LA PARTITA DI UN REALE, CHE NON E' PENSIERO MIO.
Il destino, tuo e mio, è quello di due gabbiani; volano in alto, all'orizzonte, uno a destra, l'altro a sinistra e in mezzo Dio.
Sanno poi, solo gli arcani: come se fosse una fonte, lo stesso scoglio gli si mostra che fu all'ultimo rinvio delle tue mani.
Già uno rivòla al ponte, l'altro rimane in finestra, poi s'arrende, verso l'oblio di chi non gli importa 'domani' che sta di fronte;
tanto, da destra o sinistra, il destino, tuo e mio, come quello di due gabbiani, rispunterà all'orizzonte di questa giostra.
EISEL Piuma rossa, vela e consola l'occhio, sbarrato, di chi guarda ancora l'assurdo che stanca, che ancora non muore. Piume rosse, rivoli stanchi, gridate nel cielo il dolore indifeso di donne e bambini infilzati e scordati, schiacciati da bestie ubriacate da sangue mischiate alla gente che no, non si arrende, e ancora rincorre un pallone sfuggente a ciò che non centra...furia omicida scorda, di vincerla, questa partita.
Solo rimane dipinto l'oro che nasce, e poi cambia sembianza; esce dai monti fiume splendente, accende speranze gridando vendetta nel cuore smarrito di chi spera ancora, povera gente marcita di storia... sola, rimani stupita, l'oro, che a valle, distrugge ogni cosa, fuscelli indifesi ubriacati di gloria vana e forzata dentro la gola da forti castelli che fanno trincee con masse di carne al fiume che arriva. Sola, rimani beata sacra collina, che tutto hai guardato sentito e pesato, tu sola, intoccata, nell'angolo santo del quadro profano che posso cantare solo, in silenzio, con pause e risate, solo fa pena il morire di un fiore.
E il pedofilo stanco camminava senza fretta, stanco d'essere incompreso e di farne lui, la spesa, di rancori manco onesti, verso chi, paziente, aspetta l'innocenza da viziare piano piano, dolcemente, quando passano nei pressi, belli, dolci, bianchi e rossi, tutti lisci,niente rughe, come chi non sa ammirare tutto questo ben di Dio... Per fortuna che c'è lui! questo amico di famiglia... niente lascia, tutto coglie con la bava per cui schifa, lui e i motivi del cul mio.
Tante cose fra le ortiche societarie, traditrici soffocanti con le storie sempre uguali dei cannoni, state fermi, state buoni, dove non puo` stare un fiore. E ricordo meretrici piu` fedeli come amiche delle favole narrate per bloccare al proprio posto quattro negri rimbambiti di morale da formiche; sane cose per falliti che non hanno mai supposto quanto falso spudorato nella luce di quel sole raccontato dalle ortiche.
Quantunque le passioni rinomate del peccato siano sempre umanizzate da chi gioca al porco santo, non è detto che io cada nel tranello di una moda buona solo a fare vento. Brezza strana, in quanto vedi dove nasce e dove muore, che non va dove gli pare e che guardi ma non odi. Aria strana, falsa, sporca in questo mondo, sempre fatta da qualcuno, resta solo puzza orrenda.
Mosse ancora le radici ripetendo piano piano la stagione dell'amore conoscendo caso strano la rinuncia dell'amore con lo sguardo da lontano; i suoi fiori per gli amici e al bastardo già ruffiano fato freddo traditore che insegnando dai una mano, di cinismo fermi il cuore raggelando piano piano...
La mia accidia, impastoiata, non lo sa che non va bene, pisolare sul destino quando il mondo intero freme. La mia accidia, come un cane acciambellato, non capisce a chi fa male quando acciuffa i suoi torpori mentre tutto gira uguale, e riprende a trascurare vane corse, e lascia soli i grandi atleti del momento aumentando la speranza di chi cerca la vittoria; strana gara, finta gloria, se a qualcuno importa niente, come ai pigri ai quali serve quanto basta a non sbavare dietro al collo della gente.
Posso pensare a cose più grandi eppure permetto di farmi stancare; dentro il concetto di viver la vita non c'è stata mai aria per terre più rare. Così mi ammalo di civica ignavia agli occhi del mondo, del loro consumo, spinto più a fondo dal senso di morte balbettando reazioni con torri di fumo e veli pietosi al nostro passato. Un giorno si nasce in un gioco che ha fine dentro ganasce che è stolto aspettare se non ho più pensiero, mio, oltre il confine.
Dipingere l’umore di uno sguardo in lontananzacrea colori di un destino addolcito nei pennelli che hanno misto con sapienza certe gioie a quei dolori; e solo sa cantare l’orizzonte quella voce che miscela la natura e fa nascere poesia con la morte della notte, nella vita delle stelle.
CECILIA Schiuma leggera di un sorriso blu rapita alla luce per far lume alla notte; io da quel giorno sogno, scoloro il viso e creo qualcosa in più, leggero nel cielo per far posto alla morte giù, sulla terra, tetra, spose del vento solo piume e tu, vestita di rose incantate, luci rabbiose nelle lacrime da vendicare o scordare in oceani di carezze stanche, mentre tremi di una paura antica sempre più, lentamente, ritrovi la pace e dormi, e sogni e ridi e occhi, chiusi e raggianti eternano l'ansia di Dio nel mondo, sei tu
Chi non sa cos’è un politico Colui che parla in fare enfatico E che sa d’esser fatidico, con due frasi messe appresso in un modo nebuloso oppure subdolo ed ambiguo; chi non sa cos’è un politico.
La tua mano, nelle sere che separano altre sere più normali, da lontano sembra ancora più' una rosa che d'incanto lascia andare
...la tristezza di una notte consumata fra i rumori della vita nei pensieri troppo grandi che separano altre sere più' normali, e dove, ancora,
...le tue mani nelle notti stralunate dai ricordi fanno strage dei rancori nelle tempie liberate una quiete che fa male e ritrovano la pace in quest'attimo infinito dove arrancano difese già' sbandate nei tuoi occhi in quest'attimo del cuore dove il tempo non e' niente.
Allungate le mani sui fiori recisi, portati dal vento ad ogni stagione, da voi ordinati. Qualcuno ha operato, e altri han portato la lieta novella dove c’è tutto, meno che amore. E allora, ascoltato un retore cianciare su stati più belli col prato all’inglese, la bestia racconta: è morto quel fiore.
Per un umore rincuorato all’improvviso solamente dal senso della vita, o dal tuo aspetto senza tempo, sempre inviso a strade vane calpestate dall’invidia che disegna stesse facce e false fedi, stravolgendo nelle ore le illusioni del successo che ci umilia, e ammala il corpo, senza scampo… cosa dire, di altre vite vilipese dal passato già d’animo senile.
Ed io volevo ridere sul tuo seno
per poi guardarti,
come se avessi la gola riarsa,
senza i tuoi baci
veri, e non farsa
di suoni incapaci
di uscire e fermarti,
e di cui sono pieno
ormai che è già sparsa,
minuti rapaci,
sopra quel treno
l'idea mia di amarti.
Circe
adorava mirarsi nell'olio
del
mare,
quando in autunno
sposa
al
tramonto il sole alla luna
e
tutto
possiede, avvolto nell'ombra
che
vuole
celare la favola arcana
del
mondo
che vive addossato a sé stesso.
Mentre
Circe
riappare in tutti gli oblii
dei
sogni
più grandi, che sanno incantare
l'uomo
che
vola, amato sugli altri
e
ammaliato
nel tempo
di
chi sa
aspettare.
Quando di
notte
è freddo il
sudore
e non c’è più
la luna,
e non c’è più
una
stella,
arrivano a
frotte
i lupi nel
cuore,
a chi ha la
sfortuna
di far
sentinella
e farsene una
sognando
l’amore
dentro le
grotte.
E mentre
arrovella
l’ombra
nessuna
ripete il
rumore
che ancora lo
sfotte.
PAN
In un attimo
il salto dei tuoi occhi
liberò un veltro
sopito, nascosto nei miei umori.
E il profumo del bosco
quietò i sensi usati,
facendo uscir gli antichi
già inibiti dal ricordo,
fieri ora:
sferzati nel loro passare
dai capelli di un paesaggio
immortale
primitivo di odori e istinti
in un attimo:
prova cara nelle membra,
nella selva dilegua
ansimando, il desiderio ancora. Simile l’anima è al
sole, se a
volte il corpo, gelato
per la via fiotta
rivoli
scaldati da un
pensiero poco
umano.
Come la
nuvola saetta, e poi
infine dalla
nebbia nasce
arcobaleno, di
quest’uomo vibran
ali quando
nutre il
desiderio arcane
voglie di
librare l’io
che urla, e
intanto sale…
ULISSE
In più
dell'orizzonte mio
apparve il sommo Essere,
inoltrarsi nelle tenebre
siccome fa un guardiano
attratto dal rumore.
E guarda, scruta e cerca
mescolandosi col vento
fra i viluppi insofferenti
gelosi di quest'uomo,
il richiamo più avvilito,
da salvare immantinente
dal banchetto truculento
degli inferi terreni.
E trovatolo infangato
lo veste nuovamente...
e Nessuno è il nome mio
se viandante sconosciuto,
or che tutto è nella mente.
TARTARI Se non pensassi impazzirei pe' i vuoti tempi che mi assalgono erigo roccaforti cerebrali per respingere i vampiri della linfa più ancestrale.
Se non ridessi morirei di amari mali e tristi gufi. Innalzo il naso al cielo e sputo il riso sulla faccia agli animali che non possono capire.
Se non piangessi fingerei perché asfissiato in fumo vano. Rabbioso esce allora dai miei occhi uno spirito ferito e la speranza, mai riposta:
se le difese necessarie svilite ogn'ora dall'oblio potessero inondare nel deserto biechi tartari del cuore, malcelati dai mortai.
ABISSI Gli abissi marini nascondono un mondo preso dal gorgo affamato di vita. La spuma rivolse il suo sguardo ai dorati palazzi di Atlantide e risolse di andare laddove l'incanto nasceva in splendore. Onde senza risacca avvolsero a un tratto d'azzurro una sposa rapita alla terra per vivere sempre intoccata dall'uomo, felice, nel mare.
Cafoni rifatti truculenti ed arroganti imboscati nei risvolti dei completi da carriera. Vassalli incravattati invidiosi di culturasana e ariosa e mai corrotta e insistentemente povera dei vostri miseri traguardi, mortale omuncolare.
L'aurora di Ancona fa lume ai caduti, impavidi eroi, vergogna del vero. L'alba spalanca l'orrore e il dileggio del crogiuolo fumante ...olocausto di ieri!? Il giorno propone ai pranzi europei frattaglie d'infanzia e pubblicità La sera racconta il giorno scaduto fra ciarle di corvi e domani chissà se la notte abbia usato il suo stanco mantello, crollando su un mondo che aspetta pietà.
E riproposi a me stesso la cronaca della vita, per appurare la presenza ancora di una gnosi dal tempo sepolta, venduta dalle menti prostitute quando ingrassano i molteplici papponi, rampanti, o blasonati tali per loro essenza, voscenza, vaso ‘sti mmano, porgo lo culo, a don Ciccio a Gargiulo Picone mi manda, o padre Luciano, perché sia onorevole riavere il maltolto, sciogliere il voto, ed essere assolto…
SVALUTATE OMINEM PIETRE RARE. META IRTA E SPEME PRONA, CLERO CAUTO E MALO COSMO, OSTA OVUNQUE A DEGNA SPESA.
Vento aspro gelo sottile invano un lamento vuole sfuggire. Sotteso al tramonto il destino sul mare invoca sprezzante in gola altro sale. Voglia di alzarsi sputare la rena rinascere in terra inviso al sistema.
Volute di nuvole distrutte dai mortai, nottole distratte volano sui morti caduti sotto il bisturi, spartiti sull'asfalto come bossoli sperduti, castrati nell'affetto. Pastrano senza volto, Sarajevo e più, non basta. E sorprendevo senza vanto chi si imbosca nel pantano sviolinando senza sosta la fandonia ristrizzata su farina fatta d'ossa. E svicolando in ritirata si dissocia dall'orrore.
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