Prometeo

per chi,

e poi, perché...

Se volo più in alto,

e nasce una canzone,

se quando ti rivedo

muore una parola...

è per me

te,

o che...?

E sempre lì parlò,

e andavo biascicando

come un saggio, ch'è onniscente...

solo che la differenza

era data dal proseguo:

"non capisco proprio niente".

Cosa guardi amico mio?

siamo tanti prometei

quando affrontano paure

con i nodi senza capi.

Finché dici "basta ormai!

non ne voglio sogni morti!

riprendeteveli tutti,

niente belli, niente brutti..."

E invece non bastava,

quelli belli li volevo,

e allora l'ho creato.

Io creatore,

di una bocca che sorride

insieme agli occhi,

già cantici alla vita.

E loro, "dicci, che succede?

nel tuo cuore hai trovato...

...una scintilla come il sole?

Sai che ti vogliamo bene:

la mettiamo pure in testa,

solo al cuore... non conviene".

Tu mi guardi, amico mio,

mi bastava anche guardarla

senza mai tendere mano,

che non fosse a far da ombrello.

E solo chi sapeva il vero,

che capiva dove andavo,

m'ha punito a fuoco lento,

e poi col ferro m'ha accecato.

Mentre là dove m'appese

giunse infine al gelo il vento,

e solo il corpo le lasciavo...

Un cancelletto verde

e parolette brevi,

sorrisi un po' assassini,

e il gioco è preparato,

la trappola è partita :

timidezza da leone,

io sfacciato, come un pollo,

indifesa e sei una tigre

io mi guardo, poi m'accorgo,...

sguardo acuto come un pesce,

ancora dormo,

ed è ormai giorno.

 

 

Vedo solo che sei sempre più bella;

sei come un fiore

che mentre cresce, ripete quell'attimo eterno

e s'apre, in una sinfonia di profumo e colore,

che non sembra possa morire, neanche d'inverno...

sogno d'amore,

per me sei solo, sempre più bella.

 

 

Sei fiore dolce

piccolo eterno,

occhi infiniti,

mare d'inverno,

luce nel viso

l'amore, un sorriso,

e ancora sei una,

piccola luna.

 

Fiore d'aprile

sei veramente,

oro dei monti,

nato da niente,

cerco una mano,

col cuore, lontano,

amore e fortuna,

piccola luna.

 

 

Non basta essere buoni,

deve essere concesso.

E se anche tu hai pensato

di migliorare un po' te stesso,...

non basta essere bravo,

deve essere permesso...

e solo dopo fai carriera

e su per giù, probabilmente,

permetterai a chi sarà sotto

d'esser tanto, oppure niente

più di quello che è previsto

da un trattato dove è nata

l'arroganza della gente,

che non serve essere buoni

se non vuoi sentirti fesso.

 

Cieli chiari da guardare

occhi come laghi che sui

monti sono gioie da nascondere,

bei diamanti incastonati

fra gli alberi verdi protesi

come ciglia folte per parlare,

e poi, campi di grano

che lottano col vento,

capelli, che asciugano

sorgenti dei monti

sono lacrime

che piangono

che ridono

che vivono

che vanno a sfociare

dentro un mare di rose

rosse

labbra

che parlano

che dicono...

di te.

 

Ed è a quel punto

che ti senti vivo,

e più vivi e più ti uccide,

come la vita,

così l'amore illude

a ciò che non è;

e invece appare

al posto suo,

di chi crede tu sia

realtà del suo futuro

fatto di sogni,

la morte dell'amore,

che solo morendo

può essere eterno.

 

 

Lascia un po' soli questi due affanni,

lasciali soli a contare i malanni;

io non sapevo che dietro le quinte

c'era un canuto

burattinaio.

Viva le donne e le pose più spinte.

Viva le donne adesso che raglio...

Io non vedevo che c'era lo sputo

sopra i fiori,

sotto lo stabbio;

io non sentivo che c'erano grida

e fame e sete pensavo dipinte

come paure a chi gioca con gli anni.

Lui fa l'arguto,

l'altro fa Mida,

e insieme assaggiano i morti di fame

e ancora bevono i disidratati,

godono ebbrezze iniettandosi forte

fessi e drogati,

fino alla morte.

 

            ORIANA   

  Gentucola arcuata sotto stemmi disossati

dall'ebbrezza di poteri,

vari, e sempre più scontati.

E' chinato chi si esalta

non avendo un proprio io,

ammazzando quei pareri

che vietavano la svolta.

 

Gentucola vigliacca che ogni tanto sforni un dio

e una logica prepari

per sfasciarmi quello mio,

paradosso neanche umano

che, scostante, non può stare

dentro targhe o altri fari;

si, lo so che sembra strano,

 

gentucola che nuota, buona solo ad affogare

dietro vani cantastorie,

preparando sette bare

per la caccia a brutte streghe,

voi, e le vostre tronfie borie

che vi stanno tanto care,

gentucole seganti, buone solo a scoglionare.

 

E in ogni caso

preferisco pensarlo,

per tanti motivi,

riuniti nel mazzo

mischiato dal tempo,

volati per aria

ad ogni occasione,

raccolti dal caso

che mescola carte

dure e sapienti

come il destino.

E torna, davvero,

in mezzo al languore

rosso, mozzato,

stesso pensiero

intorno alle cose

che girano forte,

intorno, e da sempre,

ancora straniero.

 

  Era cantata, la sola allegria,

finta, sdraiata, protetta

da risa, complici amare

dall'alito forte.

E una bottiglia

a guardargli le curve

calde, inebrianti,

fedeli e disposte

sopra le cose, sopra i pensieri,

danno tepore e fanno girare

i quadri, la stanza

tutto il normale

di cose sognate

da quando, da ieri

da sempre nel tempo

ormai spiritato

e ubriaco di risa

fatate e sincere.

 

 

  Ma c'è sempre una domanda

che ha già pronta l'etichetta...

E tutto appare intorbidito

mentre cerco le parole

per spiegare che i doppioni,

quelli neri e all'altra parte,

sono tali oggi e ieri

e ancora e sempre più distorti,

vecchie copie di un passato

che già in tutto è stato autore

e che rimane, e sempre, è stato.

 

 

Quando una luna mi riporta indietro

sopra i capelli mossi dal vento del mare

d'inverno d'incanto mi sento

volare, e poi ancora stupore,

nel fango del tempo

che manda in letargo

amori lontani perduti

nei sogni che hanno creato,

fantasmi di sabbia

mossa dal vento del mare

d'inverno d'incanto diventa

illusione e poesia.

 

 

TIBET

Ultime grida volate a dispetto

di un'informazione sempre settaria,

metrata dal soldo

va a caccia di streghe

o cose scontate,

facili a dirsi.

O forse è il buon senso

a non dare sentenze,

a insabbiare gli orrori,

troppo giganti

e tanto lontani

dal nostro pensiero,

di civiltà balorde e arroganti.

Ma al tetto del mondo

sono arrivati...

e come locuste

divorano a sbafo

campi e colture

già millenarie

quando l'insetto dicevasi larva,

rozza e ignorante, buona a affogare,

infilzata da un amo di cose balorde,

sempre le stesse , sempre nel mare

di gente fottuta dal falso lampante,

chiude i suoi occhi credendo all'udito

e parla e ripete gli slogan bugiardi

come non fossero scuse carogne

come non fosse chiaro e banale,

guerra, violenza, e larve a sbafare.

 

 

La rassegnazione, che non fa più soffrire...

cavallo sfrenato, sopra i morti di mille battaglie,

vittime inutili, e ideali squarciati,

passano sotto il sollievo di rese

dolci e gentili nei sensi sfiancati.

E torna un respiro scordato e il silenzio

che svuota la testa fa male e dà pace,

come una spina tolta alla fine

di un tempo infinito, ora calmo e sereno

nel regno potente di un cuore indurito:

"cinico mago,

incanta per sempre

immagini mosse

solo da un treno".

 

Sole che scendi,

cuore che muori,

sotto le sponde

che nascono sempre

a nascondere facce

di strani dolori.

Cuore che nasci

sotto quel sole

vivido o tenue

secondo le ore

che cantano insieme

parabole vecchie

o spente parole,

fatti illusioni

e vivi gli amori

senza ascoltare

santa sapienza,

ma solo il tuo sguardo

sopra i colori.

 

C'è nella mente...

la lontananza che sibila

i ricordi d'infanzia delusa,

uomo maturo,

che cresci alte mura sui campi da gioco.

C'è dentro il vento...

un'impotenza abbattuta

della vita legale dei sogni,

uomo reale,

che pensi al futuro di tasche malate.

C'era sui rami...

una voglia di alzarsi e

tendere mani come bambini,

uomo già morto,

illuso creatore di bare invadenti.

Tu hai nella mente

la superbia distorta

e hai nelle mani

l'orrore che porta

la vita non tua, veduta e già colta.

 

 

Nulla è più dolce del proprio sentire

a tratti, dal nulla,

l'io che reclama la propria esistenza,

e intorno dissolve maschere avulse

e miseri miti. 'O savia demenza...'

tutto scompare là dove imperava

un'io che riscuote

dai servi aggiogati tutta una vita

rincorsa a sbranare, e ora ricordo:

nel mentre volava, ed era ferita.

 

 

Incantata da una sfera di cristallo

l'altalena dei tuoi occhi spalancati,

liquefando la mia rabbia e la paura,

vola via.

 

Nell'ammissione del limite umano...

nasce il dubbio e trovo Dio.

D'altro canto non mi portano

i miei sforzi mai di fuori,

e nel mio corpo non c'è  mano,

resto solo, solo io

e le mie sere quando esortano

a pensare... pazzie dentro i clamori:

gente, mai ribelle di sé stessa,

si rinnova muore nasce

dentro il ruolo della gente,

se mai vita le è concessa.

 

CONVIVIO

Si rammentano le storie

scalzandone i segreti,

che d’altronde erano noti,

e godendo a farne scempio

noi sguazziamo in vilipendio

ai vecchi  miti nostri

e a chi ci crede ancora!

 

Piazza cinese

          Tieni a mente, Primavera,

Praga e  Cina tanto uguali.

E sbocciarono di rosso

pochi sogni, ma ideali.

Tieni a mente: sulle spine

s’è posata un’altra storia,

sempre uguale al come e quando

delle stragi. E la memoria

tiene a mente, prima ancora

di parlare, e inorridire:

solo i giorni dell’amore

sanno essere e morire. 

 

 

Ora,

non c'è più spazio per pensieri

sulla vita per la vita.

Superato ho il momento

ora,

cavalco disperato questo vento

che accarezza una speranza non finita

ieri,

quei suoni dai monti, guardando una salita,

ora

io sento.

 

 

Una carezza sul viso

per riprendere i miei ori

sotterrati in una guerra

per fuggire più leggero...

è il risorgere del cuore.

E il nemico nella mente

ricomincerà il dolore

fino a quando nel cammino

peserà di nuovo amore

dentro il petto come sempre

e sarà di nuovo un lusso

respirare, assaporare

l'illusione ormai avvilita.

Vuoi l'affanno, vuoi il pudore

di sentirsi qualche cosa,

con la vanga già adoprata

copro il sogno ed il soffrire

per le rose, fiori nati

a trapassare, con le spine ed il profumo,

petti fragili al languore.

 

 

FIGLI

 Perdonami al tuo nascere

per questo sporco, brutto mondo,

e soprattutto non volermene,

vedendo il male andare

e da padrone digerire

i tuoi pensieri più banali,

sulla vita, o naturali,

e non credere a un mio gioco

giacché il rischio non consente

di chiamare qualcun altro,

quand'è poca la grandezza

dell'azione meditata.

Sulla pelle della gente

le dottrine più svariate

fanno conti da assassini;

io lo so  e per questo fremo

al tuo nascere da uomo

o un angelo, lo stesso,

voglio, cerco il tuo perdono.

 

 

Occhi infiniti nel mare d'inverno

nuotano svelti nel loro cercare,

mentre l'estate risolve i languori

nel sole accecante che annulla l'inferno

del cuore e di troppe, improbabili gare

da cui, chi si estrania chiamandosi fuori,

ritorna sul molo dei mitici giorni,

quando un cervello poteva anche amare

aspettando dal vento piaceri e dolori,

imitando gli storni

nel loro migrare,

verso se stessi, verso gli albori che tornano sempre,

come le onde, che portano il mare.

 

 

  ALBA DI MARCO AURELIO

E se, veramente, fosforo e miele pare

così io sono,

forse, imperatore.

Finché l'alzato sole

non rischiari l'uomo vero,

e s'inarchino coscienze

per lanciarlo verso il cielo

dove il tuono,

nemico delle ore,

gli insegni le parole

per forgiarlo ancora fiero,

laddove sofferenze

arrivarono a far velo...

non sarò ciò che io sono;

e ora questo, non è mare.

 

                F & B

S’invola nella notte

l’eroismo sconosciuto dalla gente

che non sa

mai, amare.

                E il ricordo sconosciuto

appare nel fragore delle bombe

che non danno

mai, amore.

                Gran lavoro artigianale

la barbarie chiesta loro

onorevole

animale:

                sempre dietro il tuo morire

dalla nascita che porti

come zecca

per cui vivi

                nel frattempo in cui s’invola

nella notte del dolore

l’arma immane

della vita.

 

 

Invece il dolore può fare

dentro la cinta ‘si cara

tanto sgomento e mari

incantare;

quando il vento dei lari

entra fino e poi spara,

in fondo l’anima appare.

 

 

Volute di nuvole

rivolte in cuore mio

alle favole cantate

dai ricordi più nascosti,

nel tempo o nella mente,

carezzano le soste

così rare nella vita.

E un respiro più profondo

mi risveglia e m’addolora

col richiamo delle madri

dei fratelli già perduti

con le risa antiche

e voci, voci amate:

ritornate dentro il bosco

fino a che il momento vero

ci riporti in luce e sia

quel miraggio che addolora

e mai più,

malinconia.

 

 

C’è una spia in questo ufficio,

che è gemella a tutte le altre,

rotea gli occhi ad ogni istante;

come un rettile sta quindi

per notare gli usi strani

dei colleghi più normali

per cui prova odio e invidia.

Sa, quest’essere inferiore

perché sia da noi diverso

e per questo mal sopporta

e sbava e striscia contro il muro.

E quando crepa non capisce

perché proprio a lui succede,

se il padrone suo (che ingrato)

lo finisce sotto un piede.

 

 

 

 

Retorica atavica voluta dai padroni,

mascherata da pensiero, vilipendio degli onesti;

t’appropri sogni altrui per vestire il corpo falso

nudo e sporco di una piovra ben più antica

che avviluppa appena nati.

Può l’ipocrita aggiogare pel tentacolo che ha in bocca

intanto che il vampiro aculeo, penetrando nelle menti

depredi linfa grigia,

formando i suoi soldati dallo sguardo fisso e ottuso

morti in vita per la vita mercenaria di sé stessa.

 

 

Vederti boccheggiare dietro briciole lasciate

sui selciati freddi e duri

solo per te

così importanti,

sbatte in faccia l’impotenza del guardare e mai

dire una parola e

risollevare

il solo amico,

solo e stanco nelle mani che si aggrappano al

vecchio pensiero, ma vero

negli occhi stanchi,

quando resuscitano

grottesche illusioni che fanno briciole di me

che posso solo guardare

il mio silenzio

a tanto amore.

 

 FRASASSI

      Da quanto sostieni il mondo,

ingenua colonna,

da tenebre illusa

al mondo che ama, ritiene, sostiene...

Ma quel che vale rende!

all'amante scherno;

si che  'l dono più onesto

ha fattezze di lume che reca la morte.

   Or non so io se fenice,

avrai, quel giorno,

dentro il tuo cuore;

perciò nulla dico a chi solo ama.

Ricevi orgoglio, e rispetto

dal muto mio sguardo,

titanica brama.

 

                CESARE

 SE TU, BRUTO, POTESSI COLPIRE

ANCHE I TRASCORSI CAMPI D'INVERNO

DI PIU' SARESTI LODATO

DAI TUOI LENONI AULICI,

 

CHE MEMORIA NON SI INCHINA MAI,

COME SANNO, E SA, CHI T'HA VELATO

D'ORGOGLIO IL SENNO DEI LARI:

DA QUALI SUONI CORROTTO?

 

L'ORA S'ARROSSA SU QUESTO TELO,

TENERO SCUDO AL CORPO ORMAI PRONO,

CESARE RESTA AGGRAPPATO

SOLO AL TEPORE DEL MARMO.

 

LA MORTE, PIU' FREDDA, GIA' T'ADDORMENTA,

E SOGNI LE NOTTI, I FUOCHI DEL CAMPO,

GALLIE LONTANE CON FIGLI SOLDATI

E NEMICO SINCERO.

 

BRUTO, T'AVESSI TENUTO VICINO,

LE MEMBRA SOLE T'AVREBBERO DETTO

L'ESSENZA DEL VERO FRA EROI CADUTI

IN DIFESA DI TE.

 

QUANDO LA VILTA' SPORCA IL DESTINO

GIAMMAI S'AZZARDI LO STOLTO A SPERARE:

PIU' DIRITTO AVRA' L'AMICO

A VEDER SCRITTA VENDETTA.

 

OR CHE LA FOLLA CESARE CHIAMA

POTRETE DIRE A VOSTRA DISCOLPA

CHE AVETE UCCISO IL TIRANNO...

SE C'E' QUALCUNO CHE ASCOLTA

 

TE, BRUTO, CHE RIMANI GIA' SOLO

A CANTARE I TEOREMI IMPARATI.

MA I VISI CHIAMAN LA SPEME,

TOLTAGLI SENZA PIETA'.

 

 

San Francesco

     Percorrendo il ritorno non più prigioniero

il cielo riapparso non era lo stesso;

     per troppi giorni ammalò il mio pensiero

l'aria dei boschi,

     l'odio al successo instillò i primi umori, e foschi

di notte quei morti tornando perdono

     chiedevano, il mio, ed io che scantono,

e nascondo il mio viso alla folle richiesta

     lottando coi rami che negano un varco,

frustandomi gli occhi, il corpo, la testa...

     squarciano il velo

e già tirano d'arco le nuvole in cielo

     dentro la mente, finché  l'alba e poi il giorno

tornarono piano...  e il prato era intorno.

 

 

Angelo del sole,

della luce e del colore,

volevo ricordarti

ch’ era forse stato amore,

con la notte vicino,

senza sole al mattino...

 

Fulmini di storie

con le nuvole nel cuore,

danno le risposte

e ritornano paure,

e sale nella gola,

ma tu, se resti sola...

 

 

Anche tu dentro il mio cuore

avresti voluto,

avresti creduto,

che niente al mondo poi, sarebbe entrato,

come un ladro,

come un soldato;

e una sinfonia di misti colori

avresti ballato

avresti cantato

solo per me, usignolo del cielo,

piuma del cielo,

e ancora un pensiero...

 

Anche tu dentro le stelle

avresti guardato

avresti cercato

occhi lontani, di un'altra storia,

giorni antichi

altra memoria,

e sorrisi spenti da chi ora nasce

avrei rubato,

forse incantati

come fiori accesi nella notte

nel cuore perle

d'amore risorte.

 

Per due mani di velluto

che mi sanno accarezzare,

per due occhi come è l'acqua

dove voglio naufragare,

per tutto ciò che sei,

per tutto ciò che hai,

per tutto quello che so io,

...e che non ti ho detto mai.

 

Anima vaga,

cammini senza fretta,

senza più freddo,

ma lei, per sempre e sempre stretta.

Rigiochi ancora,

richiami la difesa

urla più forte,

che sai, la vita tu l'hai spesa

e sei lontano

che scherzo hai combinato,

senza ritorno,

per me, che ancora sto invischiato.

 

E’ UNA FIAMMA

CHE ENTRA DENTRO PIEGHE OSCURE

O NON LO E', PERO' ACCOMPAGNA

GUARDA AVANTI,

TORNA INDIETRO, A RIPRENDERE PAURE.

VEDE I SUONI

SENTE GLI OCCHI QUANDO SANNO

E STANNO MUTI, MANDA FIUMI

DI PAROLE

SENZA DIGHE, A FRENARE UN PO' L 'AFFANNO

DI CHI E'

FILOSOFIA, E ANNEGA,

DENTRO I  NAUFRAGI  DEI  PERCHE'.

POI RIPOSA

PIGRAMENTE, NEL DESTINO DEL CREATO

E SORRIDE,

COME SOMIGLIASSE A UN DIO,

RISBRIGLIA ANCORA LE SUE ALI,

STUZZICANDO A RIPROVARE UN'ALTRA VOLTA

LA PARTITA

DI UN REALE, CHE NON E' PENSIERO MIO.

 

 

Il destino, tuo e mio,

è quello di due gabbiani;

volano in alto, all'orizzonte,

uno a destra, l'altro a sinistra

e in mezzo Dio.

 

Sanno poi, solo gli arcani:

come se fosse una fonte,

lo stesso scoglio gli si mostra

che fu all'ultimo rinvio

delle tue mani.

 

Già uno rivòla al ponte,

l'altro rimane in finestra,

poi s'arrende, verso l'oblio

di chi non gli importa 'domani'

che sta di fronte;

 

tanto, da destra o sinistra,

il destino, tuo e mio,

come quello di due gabbiani,

rispunterà all'orizzonte

di questa giostra.

 

          EISEL

Piuma rossa, vela e consola

l'occhio, sbarrato, di chi guarda ancora

l'assurdo che stanca, che ancora non muore.

Piume rosse, rivoli stanchi,

gridate nel cielo il dolore indifeso

di donne e bambini infilzati e scordati,

schiacciati da bestie ubriacate da sangue

mischiate alla gente che no, non si arrende,

e ancora rincorre un pallone sfuggente

a ciò che non centra...furia omicida

scorda, di vincerla,

questa partita.

 

 

Solo rimane dipinto

l'oro che nasce, e poi cambia sembianza;

esce dai monti

fiume splendente,

accende speranze

gridando vendetta

nel cuore smarrito

di chi spera ancora,

povera gente

marcita di storia...

sola, rimani stupita,

l'oro, che a valle, distrugge ogni cosa,

fuscelli indifesi

ubriacati di gloria

vana e forzata

dentro la gola

da forti castelli

che fanno trincee

con masse di carne

al fiume che arriva.

Sola, rimani beata

sacra collina, che tutto hai guardato

sentito e pesato,

tu sola, intoccata,

nell'angolo santo

del quadro profano

che posso cantare

solo, in silenzio,

con pause e risate,

solo fa pena

il morire di un fiore.

 

 

E il pedofilo stanco

camminava senza fretta,

stanco d'essere incompreso

e di farne lui, la spesa,

di rancori manco

onesti, verso chi, paziente, aspetta

l'innocenza da viziare

piano piano, dolcemente,

quando passano nei pressi,

belli, dolci, bianchi e rossi,

tutti lisci,niente

rughe, come chi non sa ammirare

tutto questo ben di Dio...

Per fortuna che c'è lui!

questo amico di famiglia...

niente lascia, tutto coglie

con la bava per cui

schifa, lui e i motivi del cul mio.

 

 

Tante cose fra le ortiche

societarie, traditrici

soffocanti con le storie

sempre uguali dei cannoni,

state fermi, state buoni,

dove non puo` stare un fiore.

E ricordo meretrici

piu` fedeli come amiche

delle favole narrate

per bloccare al proprio posto

quattro negri rimbambiti

di morale da formiche;

sane cose per falliti

che non hanno mai supposto

quanto falso spudorato

nella luce di quel sole

raccontato dalle ortiche.

 

 

Quantunque le passioni rinomate del peccato

siano sempre umanizzate

da chi gioca al porco santo,

non è detto che io cada

nel tranello di una moda

buona solo a fare vento.

Brezza strana, in quanto vedi

dove nasce e dove muore,

che non va dove gli pare

e che guardi ma non odi.

Aria strana, falsa, sporca in questo mondo,

sempre fatta da qualcuno, resta solo puzza orrenda.

 

 

Mosse ancora le radici

ripetendo

piano piano

la stagione dell'amore

conoscendo

caso strano

la rinuncia dell'amore

con lo sguardo

da lontano;

i suoi fiori per gli amici

e al bastardo

già ruffiano

fato freddo traditore

che insegnando

dai una mano,

di cinismo fermi il cuore

raggelando

piano piano...

 

 

La mia accidia, impastoiata,

non lo sa che non va bene,

pisolare sul destino

quando il mondo intero freme.

La mia accidia,

come un cane acciambellato,

non capisce a chi fa male

quando acciuffa i suoi torpori

mentre tutto gira uguale,

e riprende a trascurare

vane corse, e lascia soli

i grandi atleti del momento

aumentando la speranza

di chi cerca la vittoria;

strana gara, finta gloria,

se a qualcuno importa niente,

come ai pigri ai quali serve

quanto basta a non sbavare

dietro al collo della gente.

 

 

Posso pensare a cose più grandi

eppure permetto di farmi stancare;

dentro il concetto di viver la vita

non c'è stata mai aria

per terre più rare.

Così mi ammalo di civica ignavia

agli occhi del mondo, del loro consumo,

spinto più a fondo dal senso di morte

balbettando reazioni

con torri di fumo

e veli pietosi al nostro passato.

Un giorno si nasce in un gioco che ha fine

dentro ganasce che è stolto aspettare

se non ho più pensiero,

mio, oltre il confine.

 

 

 Dipingere l’umore di uno sguardo in lontananza

crea colori di un destino

addolcito nei pennelli

che hanno misto con sapienza certe gioie a quei dolori;

e solo sa cantare l’orizzonte quella voce

che miscela la natura

e fa nascere poesia

con la morte della notte, nella vita delle stelle.

 

 

 

CECILIA

   Schiuma  leggera di un sorriso blu

rapita alla luce per far lume alla notte;

io da quel giorno

sogno,

scoloro il viso e creo qualcosa in più,

leggero nel cielo per far posto alla morte

giù, sulla terra,

tetra,

spose del vento solo piume e tu,

vestita di rose incantate,

luci rabbiose

nelle lacrime da vendicare

o scordare in oceani

di carezze stanche,

mentre tremi di una paura antica

sempre più, lentamente,

ritrovi la pace

e dormi, e sogni e ridi

e occhi, chiusi e raggianti

eternano

l'ansia di Dio

nel mondo,

sei tu

 

Chi non sa cos’è un politico

Colui che parla in fare enfatico

E che sa d’esser fatidico,

con due frasi messe appresso

in un modo nebuloso

oppure subdolo ed ambiguo;

chi non sa cos’è un politico.

 

 

 La tua mano, nelle sere

che separano

altre sere più  normali,

da lontano sembra ancora

più' una rosa

che d'incanto lascia andare

 

...la tristezza

di una notte consumata

fra i rumori della vita

nei pensieri troppo grandi

che separano altre sere

più' normali, e dove, ancora,

 

...le tue mani nelle notti

stralunate dai ricordi

fanno strage dei rancori

nelle tempie liberate

una quiete che fa male

e ritrovano la pace

in quest'attimo infinito

dove arrancano difese

già' sbandate nei tuoi occhi

in quest'attimo del cuore

dove il tempo non e' niente.

 

 

Allungate le mani

sui fiori recisi,

portati dal vento

ad ogni stagione,

da voi ordinati.

Qualcuno ha operato,

e altri han portato

la lieta novella

dove c’è tutto,

meno che amore.

E allora, ascoltato

un retore cianciare

su stati più belli

col prato all’inglese,

la bestia racconta:

è morto quel fiore.

 

 

Per un umore rincuorato all’improvviso

solamente dal senso della vita,

o dal tuo aspetto senza tempo,

sempre inviso a strade vane

calpestate dall’invidia che disegna stesse facce

e false fedi,

stravolgendo nelle ore le illusioni del successo

che ci umilia,

e ammala il corpo, senza scampo…

cosa dire, di altre vite

vilipese dal passato già d’animo senile.

 

Ed io volevo ridere sul tuo seno

per poi guardarti,

come se avessi la gola riarsa,

senza i tuoi baci

veri, e non farsa

di suoni incapaci

di uscire e fermarti,

e di cui sono pieno

ormai che è già sparsa,

minuti rapaci,

sopra quel treno

l'idea mia di amarti.

 

 

Circe adorava mirarsi nell'olio

del mare, quando in autunno

sposa al tramonto il sole alla luna

e tutto possiede, avvolto nell'ombra

che vuole celare la favola arcana

del mondo che vive addossato a sé stesso.

Mentre Circe riappare in tutti gli oblii

dei sogni più grandi, che sanno incantare

l'uomo che vola, amato sugli altri

e ammaliato nel tempo

di chi sa aspettare.

 

Quando di notte

è freddo il sudore

e non c’è più la luna,

e non c’è più una stella,

arrivano a frotte

i lupi nel cuore,

a chi ha la sfortuna

di far sentinella

e farsene una

sognando l’amore

dentro le grotte.

 E mentre arrovella

l’ombra nessuna

ripete il rumore

che ancora lo sfotte.

 

 

PAN

    In un attimo

il salto dei tuoi occhi

liberò un veltro

sopito, nascosto nei miei umori.

E il profumo del bosco

quietò i sensi usati,

facendo uscir gli antichi

già inibiti dal ricordo,

fieri ora:

sferzati nel loro passare

dai capelli di un paesaggio immortale

primitivo di odori e istinti

in un attimo:

prova cara nelle membra,

nella selva dilegua

ansimando, il desiderio ancora.

 

 

Simile l’anima è al sole,

se a volte il corpo,

gelato per la via

fiotta rivoli scaldati

da un pensiero poco umano.

            Come la nuvola saetta,

e poi infine dalla nebbia

nasce arcobaleno,

di quest’uomo

vibran ali

quando nutre il desiderio

arcane voglie di librare

l’io che urla,

e intanto sale…

 

 

ULISSE

     In più dell'orizzonte mio

apparve il sommo Essere,

inoltrarsi nelle tenebre

siccome fa un guardiano

attratto dal rumore.

E guarda, scruta e cerca

mescolandosi col vento

fra i viluppi insofferenti

gelosi di quest'uomo,

il richiamo più avvilito,

da salvare immantinente

dal banchetto truculento

degli inferi terreni.

E trovatolo infangato

lo veste nuovamente...

e Nessuno è il nome mio

se viandante sconosciuto,

or che tutto è nella mente.

 

 

 

               TARTARI

      Se non pensassi impazzirei

pe' i vuoti tempi che mi assalgono

erigo roccaforti cerebrali

per respingere i vampiri della linfa più ancestrale.

 

     Se non ridessi morirei

di amari mali e tristi gufi.

Innalzo il naso al cielo e sputo il riso

sulla faccia agli animali che non possono capire.

 

     Se non piangessi fingerei

perché asfissiato in fumo vano.

Rabbioso esce allora dai miei occhi

uno spirito ferito e la speranza, mai riposta:

 

     se le difese necessarie

svilite ogn'ora dall'oblio

potessero inondare nel deserto

biechi tartari del cuore, malcelati dai mortai.

 

 

ABISSI

    Gli abissi marini

 nascondono un mondo

 preso dal gorgo

 affamato di vita.

    La spuma rivolse

 il suo sguardo ai dorati

 palazzi di Atlantide

 e risolse di andare

 laddove l'incanto

 nasceva in splendore.

    Onde senza risacca

 avvolsero a un tratto

 d'azzurro una sposa

 rapita alla terra

 per vivere sempre

 intoccata dall'uomo,

 felice, nel mare.

 

Cafoni rifatti truculenti ed arroganti

imboscati nei risvolti dei completi da carriera.

Vassalli incravattati invidiosi di cultura

sana e ariosa e mai corrotta

e insistentemente povera

dei vostri miseri traguardi,

mortale omuncolare. 

 

 

L'aurora di Ancona

fa lume ai caduti,

impavidi eroi,

vergogna del vero.

   L'alba spalanca

l'orrore e il dileggio

del crogiuolo fumante

...olocausto di ieri!?

   Il giorno propone

ai pranzi europei

frattaglie d'infanzia

e pubblicità

   La sera racconta

il giorno scaduto

fra ciarle di corvi

e domani chissà

   se la notte abbia usato

il suo stanco mantello,

crollando su un mondo

che aspetta pietà.

 

 

E riproposi a me stesso

la cronaca della vita,

per appurare la presenza ancora

di una gnosi dal tempo sepolta,

venduta dalle menti prostitute

quando ingrassano i molteplici papponi,

rampanti, o blasonati tali

per loro essenza,

voscenza,

vaso ‘sti mmano,

porgo lo culo,

a don Ciccio

a Gargiulo

Picone mi manda,

o padre Luciano,

perché sia onorevole

riavere il maltolto,

sciogliere il voto,

ed essere assolto…

 

 

SVALUTATE OMINEM

 PIETRE RARE.

 META IRTA

 E SPEME PRONA,

 CLERO CAUTO

 E MALO COSMO,

 OSTA OVUNQUE

 A DEGNA SPESA.

 

 

Vento aspro

gelo sottile

invano un lamento

vuole sfuggire.

   Sotteso al tramonto

il destino sul mare

invoca sprezzante

in gola altro sale.

   Voglia di alzarsi

sputare la rena

rinascere in terra

inviso al sistema.

 

 

Volute di nuvole

distrutte dai mortai,

nottole distratte

volano sui morti

caduti sotto il bisturi,

spartiti sull'asfalto

come bossoli sperduti,

castrati nell'affetto.

   Pastrano senza volto,

Sarajevo e più, non basta.

E sorprendevo senza vanto

chi si imbosca nel pantano

sviolinando senza sosta

la fandonia ristrizzata

su farina fatta d'ossa.

E svicolando in ritirata

si dissocia dall'orrore.