I cap. – la creatura

 

44.444 a.c., territorio francese odierno di La Ferrassie.

 

 

    Dal cuore della foresta buia giunse improvvisamente il tipico rumore dei rami spezzati e delle frasche piegate violentemente dal passaggio di qualcuno.

 

    Il villaggio, costituito da una trentina di piccole case in legno a un solo piano, era avvolto da una notte di primavera di tempi lontanissimi, senza vento, e senza nuvole.

Il baccano, sempre più forte, segnalava chiaramente come il suo artefice si stesse avvicinando sempre di più, in fretta, e chissà con quali intenzioni, alla grande radura della tribù degli Uruki.

Alla fine anche la difesa dell'ultimo cespuglio cadde, cedendo il passo ad uno stranissimo essere il quale, fatti altri due passi, si fermò ansante.

 

    La penombra creata dalla luna piena suggeriva una leggerissima, tenue conformazione antropomorfica della creatura, semicoperta forse da alcune pelli di animale. Il ritmo del suo respiro era talmente accelerato da scuoterla in modo impressionante e penoso, mentre questa fissava con gli occhi allucinati, e iniettati di sangue, il villaggio uruko ormai in parte già addormentato. Ed emettendo al contempo alcuni suoni praticamente indecifrabili:

 

    - E' mai popò! èppopò! poposs...annff!! ossibile che off!!... gni volt anff!!...e giochiam,  e giochianf!! ....uff!! a nascondì, scondin... uff!! 'ndino finì... isce sempre così!??...Eccheccaff!! Uff! panf!! -

 

    Cosa stava mai accadendo? quale sconcertante enigma poteva celarsi, in realtà, dietro un'apparizione così irrazionale, e anche così repellente?

Non tentate, non provate. Poiché non è possibile comprendere ciò all'uomo di oggi, il "sapiens sapiens", pronipote diretto dell'uomo sapiens, a sua volta appartenente ai tempi remoti in cui avvenne la vicenda in questione.

D'altra parte, è pur vero che ciò non sarebbe stato possibile neanche a un "sapiens" di allora...

 

    Solo un individuo dei Mamelumi, infatti, ovverosia soltanto un uomo di quelli da noi oggi denominati e ricordati come "uomini di Neandertal", avrebbe senz'altro allora compreso, magari sospirando un po', ma avrebbe senz'altro compreso, senza alcuna difficoltà il fenomeno misterioso...

 

    Ordunque, il fatto è che queste due razze umane, ossia i sapiens e i neandertaliani dei tempi remoti che furono, si divisero e condivisero il suolo europeo per migliaia di anni, parlando sostanzialmente una stessa, semplice lingua.

Alla fine però, e non si sa ancora bene per quale motivo, rimasero padroni del campo solo i Crockti, ossia gli uomini sapiens, mentre dei Mamelumi neandertaliani si perse in ultimo ogni traccia.

 

    Al loro tempo, nessuno avrebbe mai potuto distinguere a vista d'occhio gli appartenenti all'una o all'altra specie, tanto le due razze potevano essere simili fra loro nei principali e generali tratti somatici.

Eppure, nonostante ciò, i Mamelumi e i Crockti riuscirono a non mescolarsi mai, se non forse in minima parte. E questo probabilmente fu dovuto al fatto che, benché essi potessero avere in comune le caratteristiche fisiche, altrettanto le due razze erano invece differenti fra loro nella mentalità, in quella che noi forse oggi chiameremmo più propriamente "filosofia di vita".

 

    Esempio più notevole: per un Mamelumo era praticamente impossibile, a causa della sua caratteristica psiche, asserire il falso di propria spontanea volontà, se non a prezzo di uno sforzo quasi sovrumano dalle conseguenze spesso mortali, dovute a collasso cerebrocircolatorio.

Ovvio che i Crockti approfittassero della faccenda normalmente, quando gliene potesse capitare l'occasione.

Tipico di un Crockto sapiens che durante il suo cammino si fosse imbattuto in un estraneo, era infatti il formulare un particolare quesito, per sapere con certezza se nel frangente in questione stava avendo a che fare con un Mamelumo neandertaliano, oppure no:

 

    - Ehi tu! salve!! -

       - Ehmm... stai parlando con me!? -

      - Sì, certo che dico a te! vedi forse qualcun altro in giro oltre a me e a te!? Non mi piace affatto che si scherzi su questa faccenda! sono giorni e giorni che cammino e non incontro nessuno... o forse non sai che in questo tempo così remoto la densità umana è di un cinquantesimo di uomo per chilometro quadrato !? - 

        - Uh!? fammi pensare: un cinquantesimo di uomo hai detto eh!? per chilometro quadrato, come dire... un piede là, un altro là, una rotula dietro la collina, un orecchio in fondo al lago...-

        - Basta così! tanto ho già capito che devi essere per forza un idiota Mamelumo. Facciamo subito la solita controprova, avanti, guarda bene questa mano. Ebbene dimmi: quante dita vedi!? Guarda che se ti azzardi a rispondere esattamente ti spacco la faccia!! -     

 

    Ora, se il poveretto era realmente un Mamelumo, poco poteva fare per salvarsi dal discutibile sistema che i Crockti avevano escogitato per riconoscersi fra loro. Egli purtroppo si sentiva costretto dalla propria natura a dire la verità, e perciò a rispondere in modo esatto; e tornava perciò spesso a casa con il volto tumefatto.

 

    I Mamelumi si lamentavano:

 

    - Insomma! Che razza di sistema è mai questo? Non potete chiederci direttamente se siamo, o se non siamo dei Mamelumi!? -

 

I Crockti rispondevano:

 

    - No! non sarebbe divertente. Va bene così com'è! così facevano i nostri nonni, e i nonni dei nostri nonni! e lo stesso faranno i nostri nipoti, e i nipoti dei nostri nipoti, e... eccetera!-

        - E chi è!? -

        - Chi è chi?

        - Quest'altro tizio... Cetera, chi è? -

 

Al che giù altri schiaffi e botte, causa l’incontro fra l’ingenuità mameluma e la mancanza d’umorismo dei Crockti.

Ragion per cui i poveri Mamelumi cercarono sempre in genere di evitare nel modo più assoluto di affrontare il tale argomento (il misterioso Cetera) in presenza dei Crockti, soprattutto se questi si trovavano in uno stato di superiorità numerica.

Questo d’altra parte fece però sì che fra la genia mameluma, rimasta ignorante su chi potesse mai essere Cetera, cominciassero a nascere e a proliferarsi tutta una serie di favolette su questo personaggio malvagio, Cetera appunto, attraverso le quali si terrorizzavano spesso a scopo pedagogico i poveri bimbi mamelumi neandertaliani.

 

*     *      *

 

 

    Tornando ora alla radura del villaggio mamelumo degli Uruki, mentre l'indefinibile e arcana creatura si trovava ancora sul ciglio del bosco, ansante, con gli occhi allucinati, iniettati di sangue, e sempre con poche pelli di animale indosso, sulla soglia di una delle case in legno del villaggio uscì e si piazzò a un certo punto una donna corpulenta, bionda, sui quarant'anni. Questa si portò le mani alla bocca per indirizzare meglio la propria voce mentre chiamava:

 

    - Gumbluk!  Gumbluuuhuuk!! dove  cetera  ti  sei  cacciato!?-

 

La creatura ansante, uscita poco prima dal bosco, si avvicinò allora pian piano alla donna che, vedendolo arrivare, cominciò ad inveirgli contro:

 

    - Ma brutto scimunito scimmione ritardato peggio di tuo padre!! quante volte devo dirti che non devi giocare a nascondino! non è un gioco per te... chissà dove andrai a finire un giorno o l'altro! Non troverai più la strada del ritorno, oppure cadrai in un crepaccio come tuo padre... avanti, entra dentro casa e fila a letto senza cena! -

        - Accidenti, mamma, mammina, per favore, “a letto senza cena”... per una volta facciamo il contrario, ti prego! -

 

    Il giovane uruko detestava quell’epilogo serale che oramai sembrava fosse divenuto una tradizione, e si diresse verso il suo giaciglio di malavoglia.

 

        - Già! è vero: io odio le tradizioni! e questa poi è particolarmente scema! per quale motivo io devo sempre saltare sempre la cena, eh? rispondimi, mamma!? E... e poi vorrei anche sapere perché devo sempre dormire in questa nicchia così corta! Oramai cammino tutto ingobbito, e così, se a volte per purissimo caso esco dal bosco correndo e poi mi fermo a riprendere fiato, la gente mi scambia per una strana creatura con poche pelli di animale indosso, ansante e con gli occhi allucinati ed iniettati di sangue! Io non ne posso più, tu lo capisci questo, mamma?!-

        - Ma piccolo mio... ti ho già detto, e da diversi anni ormai, che è “tutto” soltanto per il tuo bene. E' proprio dormendo in questo modo, infatti, che potrai diventare intelligente, e bello come me! e poi ssshh! parla a bassa voce, Gumbluk!-

        - Ma sarà vero questo che mi racconti, mammina? -

        - Oh Gumbluk! Gumbluk... tu mi spezzerai il cuore un giorno o l'altro... come puoi usare queste parole dure proprio con me? Tu dovresti sapere bene che solamente le mamme crockte possono mentire, e certamente mai e poi mai una mamma uruka mameluma.

Ma ora basta parlare, piccolo mio, avanti... incassati nella nicchia e fai un bel sonno. Non disturbiamo le tue sorelline che già stanno dormendo. Poverine, sai: hanno lavorato duramente, per tutto il giorno... -

        - A proposito di questo, mamma, del “loro lavoro”, intendo... Entrando ho visto che hai cambiato nuovamente l'insegna sulla porta. Lo sai che non possiamo, non è permesso! devi togliere immediatamente quell'accento sulla "o", altrimenti una multa salata questa volta non ce la leva nessuno! -    

        - Ma, Gumbluk...Blukkino...-

        - Sì, sì, lo so! già me l'hai detto! "casinò" fa più effetto, richiama di più l'attenzione, è più, è più...-

        - ..."Francese"! -

        - Sì, appunto: francese! ma che è poi 'sto "francese"!? e comunque ci multeranno, lo sai! -

        - Non questa volta... ho "parlato" con il fratello del capo del villaggio, e quindi ehmmm... è tutto sistemato, perciò non ti preoccupare e dormi, dormi   bene-.

 

    Dormire. A stomaco vuoto. "E' una parola!", pensava l'uruko. Il giovane ripensò e rimuginò poi su alcune parole dette dalla madre, anzi, per essere più esatti: dalla sua matrigna. 

Quella donna aveva incontrato Gumrost, vedovo e padre di Gumbluk, quando quest'ultimo era ancora in tenera età. Zeula, questo il suo nome, vedova anche lei, si era così trasferita, insieme alle sue tre figliole, nell'ameno villaggio uruko, e qui divenne la nuova moglie di Gumrost.

Ma il matrimonio non fu di quelli più riusciti, tanto è vero che, un giorno, tornando da una battuta di caccia, in preda allo sconforto Gumrost si gettò a capofitto giù da una rupe. E, raccontò poi qualcuno, fece un tale gesto proprio per non rivedere mai più la sua seconda moglie, Zeula. Difatti, le sue ultime parole ai compagni che lo soccorsero mentre era in fin di vita furono:

 

    - Di... dite... -

        - Sì, certo, cosa vuoi sapere, Gumrost?! chiedi, chiedi pure, oh, Gumrost, no! non morire! -

        - Di... dite a Zeula, a mia moglie, che la man...-

        - Sì, sì, certo, diremo che la ami! -

        - Eh!? No, no... ditele che vada aff...-

       - Affabilmente? Afflitta? Affranta? Oh certo che sarà affranta, affranta per la tua  perdita, povera,  povera  Zeula!-

        - Grrr... no! che va... che vada affan... - e spirò.

     - Sniff! caro amico mio, certo, andrà... sniff! andrà affannata, affannata per tutta la vita, povero, sfortunato Gumrost! -

 

    E così, per il piccolo Gumbluk costretto a dividere la sua esistenza con la matrigna e le figlie di questa, iniziò purtroppo un calvario di stenti e umiliazioni.

Ma adesso che stava per superare ormai il periodo dell'adolescenza, l'uruko cominciò a riflettere su certi strani comportamenti della donna, e al motivo poco convincente per il quale avrebbe dovuto seguitare a dormire in quella nicchia angusta.

In fondo, arrivò infine a considerare Gumbluk, nessuno era mai riuscito a sapere dove diavolo suo padre avesse incontrato a suo tempo Zeula; e non erano affatto pochi coloro che nel villaggio sospettavano e vociferavano di un tabù che in realtà la coppia aveva osato infrangere, e per la qual cosa Gumrost aveva fatalmente pagato con la propria vita, avendo dato luogo ad un matrimonio tra un uomo uruko e una donna crockta, infiltrata ... e quindi e soprattutto: "bugiarda" come una crockta, concludeva nei suoi pensieri il giovane Gumbluk. 

 

 

 

*   *   *